"INFARTO"

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Lacrima D'Inverno
view post Posted on 17/6/2008, 11:27




Per infarto si intende la necrosi di un tessuto per ischemia, cioè per grave deficit di flusso sanguigno.
Clinicamente l'infarto è una sindrome acuta provocata da una insufficiente irrorazione sanguigna (ischemia) ad un organo o a parte di esso, per una occlusione improvvisa o per una stenosi critica delle arterie che portano il sangue in quel distretto dell'organismo.
La causa è costituita nella quasi totalità dei casi dall'aterosclerosi. Quando vanno incontro ad ulcerazione, le placche aterosclerotiche possono provocare occlusione arteriosa acuta (e quindi infarto), sia attraverso la formazione di emboli che attraverso la trombosi sovrapposta all'ulcerazione. L'infarto miocardico, dove l'organo interessato è il cuore e l'infarto cerebrale (responsabile dell'80% dei casi di ictus) sono le più frequenti cause di morte nei paesi occidentali; altre tipologie di infarto sono relativamente rare, poiché molti distretti sono irrorati da più arterie, cosa che permette al vaso non interessato, di supplire efficacemente al deficit nutritizio.
I sintomi sono diversi a seconda dell'organo interessato, tuttavia il sintomo principale è rappresentato da dolore acuto (ad insorgenza improvvisa), di varia intensità; è però possibile che l'infarto sia clinicamente asintomatico, soprattutto qualora sia di dimensioni molto piccole.
La regione colpita da infarto diviene necrotica (è questa necrosi che scatena i sintomi acuti): se il malato sopravvive alla fase acuta dell'infarto, l'organismo riassorbe i tessuti morti senza rigenerare la parte persa (cosa impossibile senza afflusso di sangue), ma forma in quella zona una cicatrice di tessuto connettivo fibroso, e l'organo interessato perde definitivamente una parte della sua funzionalità.

Forme
Le forme cliniche più frequenti sono:
- infarto cerebrale (cervello), responsabile dell'80% dei casi di ictus
- infarto del miocardio (cuore)
- infarto intestinale
- embolia polmonare
Il più frequente fra tutti è quello del miocardio, tanto che l'uso della parola infarto indica comunemente quello a carico del cuore.
Nel caso di organo irrorato da più vasi, l'infarto è molto più raro. Nel fegato, per esempio, l'85% del flusso nutritizio è trasportato dalla vena porta, mentre l'arteria epatica contribuisce per il 15%. Un'ostruzione di quest'ultima non provoca quindi un infarto del tessuto da essa irrorato. Un'occlusione acuta della vena porta è poco frequente.
Questa doppia irrorazione viene utilizzata efficacemente per il trattamento dei tumori epatici: essi infatti sono irrorati solo dall'arteria epatica e non dalla vena porta. Questo permette un approccio terapeutico sclerotizzante senza ledere il tessuto epatico sano.

infarto cerebrale
È detto ictus, dal latino colpo, l'infarto cerebrale.
I termini aulici utilizzati per definire questa patologia rispecchiano la storia della medicina, attraverso le lingue che hanno dominato le scienze nel corso dei secoli, poiché si passa dal greco apoplessi, al latino ictus, all'inglese stroke, che significano tutti allo stesso modo "colpo".
Un termine italiano, superiore a questi e più preciso di "infarto", è "accidente cerebrovascolare", che rientra nell'ambito delle sindromi vascolari acute, tra cui annoveriamo anche l'attacco ischemico transitorio (Transient ischemic attack o TIA) e l'emorragia cerebrale.

infarto del miocardio
L'infarto miocardico I21 è la necrosi ischemica del tessuto cardiaco su base ateromatosa coronarica con stenosi severa.
La sindrome miocardica acuta comporta tre entità (American College of Cardiology 2000)
1. Angor senza aumento delle troponine I e T
2. Angina con aumento delle troponine I e T, ma senza elevazione del tratto elettrocardiografico ST (Non-ST elevation myocardial infarction)
3. Infarto miocardico, con elevazione del tratto ST (ST elevation myocardial infarction.

Epidemiologia
L'incidenza mostra grandi variazioni geografiche: <100/100.000/anno in Giappone, tra i 100-200 nei paesi mediterranei, circa 300 in Germania, America settentrionale, Paesi Bassi, Polonia, 300-400 in Danimarca e Scandinavia, 400-500 in Irlanda, Inghilterra e in Ungheria, più di 500 in Irlanda del Nord, Scozia, Finlandia.
Rapporto maschi:femmine 2:1.

Eziopatogenesi
Aterosclerosi con numerosi fattori di rischio.
1) Fattori predisponenti non influenzabili sono
- predisposizione familiare
- età
- sesso maschile
2) Fattori di rischio di primo ordine
- dislipidemia, in particolar modo un aumento del colesterolo totale e LDL,
un'aumento dei trigliceridi e una diminuzione nei livelli di HDLemia.
- ipertensione arteriosa sistemica
- diabete mellito
- sindrome metabolica: bulimia, resistenza all'insulina, iperinsulinemia, malattie
associate.
- tabagismo
3) Fattori di rischio di secondo ordine
- aumento della lipoproteina Lp(a)
- iperfibrinogenemia > 300 mg/dl
- iperomocisteinemia > 12 micromol/l
- anticorpi antifosfolipina
- sedentarietà
- fattori psicosociali: stress negativo, stato sociale inferiore, e altro.
Se son presenti due fattori di primo ordine, il rischio di sviluppare una coronaropatia si quadruplica. Se son presenti tre fattori di primo ordine, il rischio aumenta di 10 volte.
Attualmente è in corso di studio una possibile concausa all'aterosclerosi di natura infettiva (infezione persistente di Chlamydia pneumoniae?).

Nell'infarto al di sotto dei 30 anni si rileva
- problemi dislipidemici familiari
- sindrome anti fosfolipidi
- ipotiroidismo con ipercolesterinemia
- vasculariti.
- abuso di sostanze (cocaina) con effetto dose-indipendente

Fattori scatenanti:
- sforzi violenti, stress con grandi variazioni della pressione arteriosa
- angor instabile (rischio di infarto del 20%)
- 40% di tutti gli infarti avvengono al mattino, tra le 6 e le 12, probabilmente
in seguito al picco cortisolico.

Clinica
- Dolore anginoso ( nell'infarto miocardico acuto [ I.M.A. ] è presente nell'80%
dei casi in quanto il 15-20% degli infarti è asintomatico, soprattutto nei
diabetici e negli anziani) intenso, prolungato, non influenzato dal riposo o dai
derivati nitrati. Il dolore può essere epigastrico, soprattutto nell'infarto
posteriore. Molti pazienti riferiscono il dolore come accompagnato da
sensazione di morte imminente
- Affaticamento, debolezza, angoscia, sintomi vagali (sudorazione, nausea,
vomito), eventualmente febbricola
- Aritmie nel 95% dei casi, soprattutto fibrillazioni ventricolari.
- Spesso caduta della pressione arteriosa, ma in caso di stimolazione
simpatica, la pressione può essere normale e financo leggermente elevata.
- Il polso è normale, ma può essere rapido, o lento.
- Segni di insufficienza cardiaca o di scompenso (1/3 dei pazienti): dispnea, ronchi alle basi polmonari, eventualmente edema polmonare.
- Nei più anziani, segni di problemi di perfusione cerebrale, come confusione
mentale.
All'auscultazione possono apparire soffi cardiaci in relazione al tipo di danno tissutale: un soffio da insufficienza mitralica nelle rotture dei muscoli papillari, per esempio.

Laboratorio
In laboratorio si indivdua un'elevazione di
- Mioglobina. Un'elevazione isolata non prova un infarto, potendo, delle lesioni
muscolari periferiche, provocare una medesima elevazione del metabolita. È
un marcatore molto precoce di infarto del miocardio, molto sensibile ma
anche aspecifico
- Troponina I e T. Sono indici molto sensibili e specifici del muscolo cardiaco.
Iniziano a elevarsi 3 ore dopo l'inizio dell'infarto, raggiungendo il massimo alla
20a ora. Si normalizzano in 1-2 settimane.
- Enzimi. In ordine di specificità:

Inizio (h) Picco (h) Normalizzazione (g)
CK-MB 4 - 8 12 - 18 2 - 3
CK totali 4 - 8 16 - 36 3 - 6
GOT 4 - 8 16 - 48 3 - 6
LDH 6 - 12 24 - 60 7 - 15
alfaHBDH (LDH1) 6 - 12 30 - 72 10 - 20


Un rapporto CK/GOT inferiore a 10 sostiene l'ipotesi di infarto miocardico, mentre è superiore negli insulti del muscolo periferico. Un'elevazione simultanea della GPT gioca un ruolo nella diagnostica epatica (o una stasi epatica nello scompenso cardiaco destro).
Un rapporto LDH/HBDH <1,3 si osserva non solo nell'infarto cardiaco ma anche nell'emolisi.

Elettrocardiogramma
L'ECG può non essere positivo nelle prime 24h dopo un infarto.
L'ECG può definire la grandezza, la localizzazione dell'infarto e la sua età.
Segni diretti d'infarto (nel caso di ST-elevation myocardial infarction)
1. Stadio acuto: breve elevazione dell'onda T, sopraslivellamento del tratto ST:
T en dôme o onda di Pardee.
2. Stadio intermedio: obliquazione e normalizzazione del segmento ST;
scomparsa dell'onda R che viene sostituita da un complesso QS o un'onda Q
profonda >1/4R e larga >0,04 sec; negativizzazione di T.
3. Stadio cronico: lenta normalizzazione dell'onda T; una piccola R può
riapparire; l'onda Q si mantiene, nella maggioranza dei casi, per tutta la vita. Se l'elevazione si ST si mantiene per più di 6 mesi è probabile si sia sviluppato un aneurisma ventricolare I25.3.
Un blocco di branca sinistra (BBS) precedente l'infarto può dissimulare le modificazioni elettrocardiografiche tipiche dell'infarto.
L'infarto non Q non presenta l'onda Q, ma abbiamo, ogni modo, i rilievi enzimatici o altri tipi di alterazioni del tratto ST o dell'onda T.

Evoluzione
1. Stadio della necrosi: dura 48h, le più pericolose.
Compaiono problemi del ritmo nel 95-100% dei casi, a buona prognosi. Per contro, una fibrillazione ventricolare intercorrente da 1 a 6 settimane dopo l'infarto peggiora la prognosi con una mortalità dell'80%.
Insufficienza cardiaca in 1/3 dei pazienti.
2. Stadio della cicatrizzazione (30-50 giorni):
aneurisma ventricolare I25.3 nel 20%
tromboembolia
pericardite post infarto, sindrome di Dressler I24.1 da 1 a 6 settimane dopo l'infarto
aritmie.
3. Stadio della riabilitazione
mobilizzazione precoce
educazione igenicodietetica
diminuzione dell'ansia.
4. Stadio della prevenzione delle recidive
abolizione tabacco
ottimizzazione terapia diabetica
miglioramento pressione arteriosa
miglioramento profilo lipidico
la dieta mediterranea diminuisce la mortalità del 50% secondo quanto rilevato dallo studio LYON dell'AHA.

Circa il 50% dei pazienti colpiti da infarto muore prima di arrivare in ospedale. Dal 10 al 20% muoiono in ospedale.

La mortalità intra-ospedaliera e a lungo termine è aumentata proporzionalmente all'aggravarsi dell'insufficienza cardiaca. Secondo la classificazione di Killip
1. senza insufficienza sinistra: mortalità <5%
2. insufficienza sinistra moderata con rantoli umidi alle basi polmonari: mortalità fino a 20%
3. edema polmonare: mortalità <40%
4. shock cardiogeno R57.0: mortalità 90%

infarto intestinale
L'infarto intestinale è la necrosi di un tratto di intestino provocata da un disturbo vasomotorio o dall'occlusione della circolazione arterovenosa mesenterica.
Dal punto di vista clinico, l'infarto intestinale si manifesta improvvisamente, con violenti dolori addominali, vomito, occlusione intestinale o anche con diarrea sanguinolenta. Vi è uno stato di shock profondo, caduta della pressione arteriosa o polso accelerato. All'esame, l'addome si presenta discretamente rigonfiato e dolorante. Di solito non si riesce a percepire una tumefazione allungata in senso trasversale, che è l'ansa infortunata.
Di fronte a un tale quadro un'anamnesi con precedenti cardiovascolari permette la diagnosi; nei casi negativi si propende per l'occlusione o la peritonite. L'esame radiologico dell'addome in bianco non dà indicazioni precise, o solo una laparotomia esplorativa conferma la diagnosi.

embolia polmonare
L’ embolia polmonare (EP) o meglio, la tromboembolia polmonare (TEP), è una condizione clinica legata alla migrazione di materiale trombotico (costituito da un grumo di sangue, grasso, aria o da un gruppo di cellule tumorali) dalla circolazione venosa sistemica all’albero vascolare polmonare, con ostruzione parziale o totale della circolazione arteriosa polmonare.

Storia
Un primo riferimento a questa patologia si può già trovare in Galeno, che nel II secolo a.C. ipotizzava la possibilità di infarto polmonare da embolia in pazienti asmatici. Tuttavia il primo riferimento diretto all’EP e all’infarto del polmone è presente nell’opera di Laennec, dove si parla di “apoplessia polmonare”. Ma la prima definizione di EP si deve ad Hélie, un medico francese, che nel 1837 descrisse il primo caso di EP in letteratura. Si trattava di una paziente di 65 anni di bassa statura e sovrappeso che per mestiere faceva la lavandaia. Venne ricoverata in ospedale per una distorsione ad un arto inferiore e due settimane dopo, mentre stava parlando con i vicini di casa, manifestò improvvisamente una cianosi del volto. Dopo alcuni minuti si riprese ma morì poco dopo durante un accesso analogo. All’autopsia il medico descrisse “un cuore ingrandito e coaguli scuri ben organizzati nel ventricolo destro e nell’arteria polmonare ”.

Epidemiologia
In realtà la misura precisa dell’incidenza di questa patologia risulta piuttosto difficile a causa della difficoltà di sollevare il sospetto clinico e di mettere in atto le varie procedure diagnostiche. Infatti le dimensioni epidemiologiche del problema embolia polmonare non si presentano in modo univoco nel nostro Paese, con un’incidenza che varia dai 30 casi/100.000 abitanti/anno dei dati ISTAT dai 250 casi/anno calcolati dal gruppo del Centro di Pisa su una popolazione di 250.000 abitanti. Secondo Heit l’incidenza dei tromboemblismi venosi (VTE), che comprendono trombosi venosa profonda (TVP) e EP, è pari a 117 casi annui per 100.000 abitanti.


Cause
L'embolo è una formazione non facente parte del torrente sanguigno che va ad occludere un vaso. L'embolo può essere: solido (principalmente a origine da un trombo posto distalmente nella circolazione), liquido (ad esempio liquido amniotico) o gassoso (attività subacquea, ferite penetranti del collo). Nella stragrande maggioranza dei casi, però,
2- Lesione parietale
3- Stasi venosa.
I fattori di rischio per EP si dividono in congeniti e acquisiti: CONGENITI: mutazione del fattore V Leiden, mutazione del gene della protrombina, deficit di Antitrombina III, di proteina C o di proteina S. ACQUISITI: età avanzata, fumo, obesità, neoplasie attive, sindrome da anticorpi antifosfolipidi, iperomocisteinemia, pillola anticoncezionale o terapia ormonale sostitutiva, aterosclerosi, anamnesi familiare o patologica remota positiva per VTE, traumi, interventi chirurgici o ospedalizzazioni recenti, infezioni acute, recenti lunghi viaggi aerei, pacemaker, defibrillatori intracardiaci o cateteri venosi. Tutti questi stati soddisfano almeno uno dei parametri di Virchow, che li aveva evidenziati già nel XIX secolo.

Sintomi
Il sospetto clinico si basa sul riscontro di sintomi come dispnea ad insorgenza improvvisa, dolore toracico, sincope, tosse in particolare con sputo ematico (emottisi) e febbre sopra i 38° C. Tra i segni più frequenti troviamo cianosi, turgore delle giugulari, tachicardia, polipnea e ipotensione che se grave può determinare shock cardiogeno. Una menzione particolare va ai segni e sintomi di TVP, ovvero edema e dolore agli arti inferiori specialmente alla palpazione, che peraltro non sono presenti in più del 30% dei pazienti con EP.

Diagnosi
Gli esami diagnostici sono rappresentati da:
- DOSAGGIO DEL D-DIMERO: il D-Dimero è un prodotto di degradazione del fibrinogeno d è un indice di coagulopatia da consumo, ed è molto specifico per EP;
- ECG: esso fornisce informazioni riguardo lo stato del ventricolo destro, il quale può andare incontro ad uno scompenso acuto a causa dell' ipertensione polmonare improvvisa. L’esecuzione dell’ECG nei pazienti con sospetta EP è utile per escludere la presenza di un infarto del miocardio. Nei pazienti con EP, quest’esame strumentale è frequentemente normale o dimostra anomalie non specifiche del segmento ST o dell’onda T.;
- RX TORACE: L’RX del torace è un esame di grande utilità soprattutto perché permette di escludere alcune delle condizioni morbose con cui si pone la diagnosi differenziale, tuttavia in circa il 50% dei casi dei pazienti con EP la lastra del torace è negativa,;
- EGA: L'emogasanalisi permette di valutare in modo indiretto la quantità di polmone sottratto allo scambio gassoso, analizzando la pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica. È un esame di frequente impiego ma di scarsa utilità reale poiché un’ipossiemia è abbastanza incostante nella EP e può, d’altra parte, essere presente in molte altre situazioni cliniche che possono simulare una EP.;
- SPECT POLMONARE: la Scintigrafia ventilatoria-perfusionale permette di stabilire la aree ipoperfuse e di confrontarle con quelle ipoventilate;
- ANGIOGRAFIA: L’angiografia polmonare è stata sino a qualche anno fa il gold standard nella diagnosi di EP così come la flebografia lo è stata per la diagnosi di trombosi venosa profonda.L’iniezione di mezzo di contrasto nell’arteria polmonare principale mediante cateterizzazione consente infatti la visualizzazione diretta dell’occlusione arteriosa responsabile delle manifestazioni cliniche.
- SCINTIGRAFIA VENTILO PERFUSORIA: È stata per molti anni l’esame fondamentale per la diagnosi di EP. Tale tecnica viene eseguita mediante somministrazione endovenosa di macroaggregati marcati e mediante inalazione di gas marcato, ciò consente di dimostrare la ventilazione delle aree non perfuse ovvero il cosiddetto mismatch.(
- TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA SPIRALE: La tomografia computerizzata (TC) spirale, che ha ormai completamente sostituito l’apparecchiatura tradizionale, permette la visualizzazione diretta dell’embolo dopo iniezione di mezzo di contrasto.
- ULTRASONOGRAFIA AGLI ARTI INFERIORI: Poiché molti dei pazienti con EP accertata ha una TVP prossimale, l’ecografia venosa con test di compressione ma soprattutto con tecnica ecodoppler è stata largamente utilizzata soprattutto nei pazienti con quadro scintigrafico polmonare non diagnostico.
- ECOCARDIOGRAMMA: È un esame che permette di valutare la funzione ventricolare destra e che raramente consente la visualizzazione diretta dell’embolo, quest’ultima è comunque l’unico reperto che consente di fare diagnosi di EP con una buona accuratezza.


 
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